Folletti e gladiatori

Folletti e gladiatori

La seconda puntata di Brenwood

Avete presente quando ho scritto che Woodoo è tanti posti diversi? No? Va beh, l’ho scritto. Ecco, mai come nella seconda parte di questa serata ho capito il senso di quella frase.

Quando finisce il concerto di Generic Animal e mi avvicino al Bigfoot Stage, è esattamente come in quei sogni strani in cui cambia scenario senza che te ne accorgi e la trama passa dall’essere, che ne so, un thriller a Chicago a te sul banco del liceo che non sai rispondere all’interrogazione di fisica.

Pochi passi e la pacatezza selvatica del tramonto sotto le fronde degli alberi con le chitarre immerse di chorus scompare letteralmente per iniziare a trasformarsi in una vera e propria brulicante città. 

Eppure io ci sono passato di lì, giusto pochi minuti prima. Ora le persone sono diventate migliaia e si ammassano in un incedere vorticoso che sembra un gigantesco muro d’acqua. Ci vediamo ma non ci guardiamo, mi sfiorano e mi mescolo dentro di loro, perché riconosco che io, di fatto, sono loro. Passo dopo passo mentre mi avvio sotto il tendone sembra quasi che le mie scarpe siano diventate pesanti, perché mi sento come se tutto stesse tremando. Era parecchio tempo che non entravo in una vera e propria folla. La folla è una creatura strana, viva, di cui ti devi fidare. Quando inizia Nello Taver io sto mangiando, mi guardo l’inizio concerto dal backstage e non posso fare a meno di pensare che l’energia dentro cui mi trovo adesso sia del tutto accostabile a quella degli spettacoli dei gladiatori. In quale luogo oltre a Woodoo puoi fare pochi metri e passare dal trovarti dalla casa dei folletti a un’arena coi leoni? 

Nello è coraggioso ed è bello sfrontato, in un modo che non riesce a lasciarmi indifferente. Sono decisamente in un altro luogo, in un altro tempo, in un altro pianeta, rispetto a pochi attimi fa.

Non so se sono il solo a vederla in modo così radicale, vado a cercare ispirazioni facendo un giro. Woodoo è iniziato davvero, ora somiglia proprio in tutto e per tutto a Times Square all’ora di punta. Riesco ad evitare per ora la proposta di una glitterata in faccia, avrò tutta la settimana per trasformarmi.

Con in testa l’energia dei gladiatori, dentro questa metropoli che si sta andando a costituire nel bosco, quasi senza pensarci vado a cercare una qualche forma di opposto e mi dirigo di nuovo verso il campeggio. Non so cosa spero di trovare ma è ovvio che i campeggiatori stanno partecipando ai concerti. È completamente silenzioso, giuro. Qui potrebbe essere una notte profonda dopo una festa, potrebbe essere una radura dietro un lago. A pochissimi metri c’è un rito dionisiaco con migliaia di persone che cercano di uscire da sé stesse. Ma qui è un silenzio bucolico. 

Con l’oscurità ogni scorcio rivela dettagli che non avevo notato prima. Le luci colorate sembra che invitino chiunque a rimanere, a sedersi, a leggere un libro, a guardare gli alberi o il cielo. Dei ragazzi giocano a carte nella ludoteca. In una specie di salottino qualche passo più avanti c’è una lavagnetta con uno Spotted Woodoo, splendido format che dovrebbe prendere piede anche in formato digitale (facciamo una petizione). Questa versione prevede di disegnare a gessetto la persona spottata. Sulla lavagna c’è scritto “Videomaker boni”, più in basso è schizzato il volto del primo rappresentante della categoria, deduco. Sembra un gremlin disegnato da Matt Groening, se costui avesse un grave problema agli occhi. Forse il metodo è perfettibile, diciamo.

Mentre medito sullo spotted di ardesia, sento che per stasera ho già trovato una prima versione dello spirito di Woodoo. Non è che sia propriamente qui, in questo campeggio. Lo spirito di Woodoo è precisamente nel contrasto tra il modo in cui mi sento stando in questo posto silenzioso e il modo in cui mi sento appena pochi metri più in là, sotto il palco. Il Woodoo Spirit è un contrasto. La definizione mi piace, la tengo lì.

Torno verso il palco come una zanzara attirata dalla luce. Sta per iniziare Massimo Pericolo e per caso mi trovo esattamente di fianco a lui nell’istante prima che faccia le scale per salire sul palco. Lo osservo ed è incredibile. Ha questo cerchietto con le orecchie da gatto, il profilo del suo volto nella penombra lo fa somigliare in tutto e per tutto ad un supereroe. Beve ampi sorsi da una bottiglia e intanto si mantiene concentrato e quasi distaccato. Il rumore della folla che cresce mentre lo attende sembra l’esercito di elefanti di Annibale. Poi prende e va sul palco. 

Le grida di una folla sentite dall’interno della folla stessa sono una roba forte. Ma una folla sentita da dietro ad un palco è una cosa ancora più intensa. Perché è come se fosse un tutt’uno, una folla impacchettata. Ti sembra quasi di potertela incartare ora e portare a casa. Te la mangerai dopo.

Quando sul finire del set incendiario di Massimo Pericolo sta per iniziare “7 Miliardi” si percepisce addirittura una leggera tensione, un assetto da attacco e difesa insieme. E ci sta, “L’ultima volta stava venendo giù il tendone” ricorda Gab. 

E il tendone rimane su appena appena anche stavolta, in effetti. Pazzesco. A live finito, un gruppetto di fan si raduna di fianco agli ingressi per il backstage cercando di impietosire i buttafuori per farli entrare. “Sono sua figlia” sento dire ad una ragazza. Stasera lei ha vinto per quanto mi riguarda.

Faccio un ultimo giro: più guardo in giro, più mondi ci sono. Ma ci penserò domani. Vado all’afterparty dei Le Guns. Altro che “after”. Io sto finendo, ma qui una notte nuova sta cominciando.

BRENNEKE

Quando suono mi chiamo Brenneke, 
quando scrivo mi chiamo anche Edoardo. 
Una volta ho visto un dirigibile.
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