Le luci diventiamo noi

Le luci diventiamo noi

la prima vera puntata di Brenwood.

Avete presente quella scena di Forrest Gump in cui lui arriva nel Vietnam, entra nella base militare americana e incontra il tenente Dan? È pressapoco questa l’atmosfera che mi pervade quando entro a Woodoo verso le 16.30 del pomeriggio. Il cantiere è già straordinariamente avanti e sono tutti leggermente straniti, me compreso. Mentre passo tra la gente sento frasi come “Dopo tre anni”, “Non me ne capacito”, “Tutto strano”, roba del genere. La maggior parte del team di Woodoo è qui tipo da una settimana.

Saranno gli 8000 gradi ma tutti si guardano attorno come se fossero nel deserto e Woodoo sia sostanzialmente un grande miraggio. Sarà la sottile tensione che si respira ma lavorano tutti come matti.

Faccio un giro nell’area campeggio per assaporare la vera cool zone di questa edizione. Sono ancora poche le tende ma attorno a me passano espressioni tipo “bro” e “raga” e inizio a sentirmi a casa se casa mia fosse quella in cui abitavo circa quindici anni fa. A pensarci sono espressioni che utilizzo anche io attualmente, al che mi partono due filoni di pensiero: sono ancora moderatamente giovane o sono un anziano assolutamente immaturo e irresponsabile? Me lo appunto, ci penserò poi.

Una tenda colorata sembra quella di uno sceicco ma non vedo cammelli. Al bar prendo il mio bicchiere fighissimo, scrivo il mio nome con un pennarello. Di fianco a me vuole scriverlo un altro ragazzo ma mi dice che non sa scrivere. Non indago ma ho idea che per lui Woodoo inizi bene.

Alle ore 17 tutti i soundcheck sono finiti, un Guinnes dei primati che al festival non si era mai visto prima. Ci sono già i primi abbracci: e la serata non è manco iniziata. Love is in the air.

Vado nella sala nel backstage per quelli che lavorano in comunicazione: è di fianco alla cucina, la temperatura ha raggiunto all’incirca quella del nucleo centrale della terra. Ma nel nucleo centrale della terra non c’è un ventilatore marca Orieme, che diventa istantaneamente il mio migliore amico nella stanza. Sarebbe figa una collab Ariete/Orieme, domani glielo dico. 

La zona con il Wood Stage di quest’anno sembra tipo una gigantesca astronave, con le lampade che fanno da motori a propulsione. Ed in effetti ad una certa, senza manco accorgercene, ci ritroviamo tutti in Giappone. Succede precisamente quando salgono sul palco i 20025XS. Sembrano personaggi di un film di fantascienza che non ho mai visto. Sono metà tra dei Ninja e dei Rider. Dei Ninja Rider, che è un bellissimo nome per una band. È il primo gruppo di Woodoo 2022, ed è oltre il reale, è surreale.

Quando parlano tra un pezzo e l’altro lo fanno con l’autotune inserito ed è una tale figata che divento matto: vorrei parlare sempre così. Il set passa attraverso un pezzo che per qualche ragione mi ricorda i Vampire Weekend senza averne in verità nessuna caratteristica e finisce in un tripudio di strana tecno che chiede al sole di scendere. Intanto lancio un occhio al Bigfoot Stage. Si sta riempiendo di gente seduta che aspetta le 21. Con la scritta enorme Woodoo dietro oh, non so voi, ma io a vedere questa scena mi commuovo un po’. Intanto sul Wood Stage è salito Nicolaj Serjotti, con Fight Pausa alle basi. Durante uno dei suoi primi pezzi c’è il secondo momento love al quale assisto di persona «Sta succedendo davvero», dice qualcuno della crew. E sotto di abbracci. Spero che questo rito prenda piede.

Mentre Nicolaj e Carlo portano avanti il loro fighissimo set, inizio ad incontrare amici e amiche che non vedevo da chissà quanto. Giada ha degli occhiali molto interessanti che mi pare si sposino molto bene con il mood del pubblico di stasera e che mi dice essere dei primi anni duemila. Al che improvvisamente capisco che lo stile revival della Gen Z che cerco di inquadrare da tutta la sera arriva direttamente da quel periodo. Ossia semplicemente di quando sono nati loro. E noi invece che ci siamo spaccati di anni ottanta perché nati negli anni ottanta? Cioè anni e anni di studi sociologici sui movimenti revival quando invece semplicemente ciascuno si scopre fedele allo stile degli anni in cui è nato. Ma allora il revival non è una questione di moda: qui la questione è animista, cari miei. 

Al tempo stesso penso, mentre suona Nicolaj, che il suo slot era il mio slot dell’edizione 2019, l’ultima fino ad oggi: il secondo artista del primo giorno sul Wood Stage. Il mio pensiero ripercorre le ultime estati come con dei fotogrammi in filtro vintage: è incredibile quanti anni passino in pochi anni. Però ero lì e ora sono qui, ed è sempre lo stesso posto. Per un secondo non distinguo più lo spazio e il tempo.

La gente aumenta, le file crescono.

Ad un certo punto sale sul palco Generic Animal e zanzareggia con un big muff che mi fa l’effetto del terzo abbraccio della serata. Luca è vestito a metà tra una mosca e un motociclista slavo.

«Questo è un mix tra il miglior compleanno e la miglior comunione, ed è il mio primo live senza cappello». Bom, presentazione della vita. Luca scrivi le battute della mia giornata. Nel frattempo qualcuno mi versa della birra nel bicchiere, che mi ero ripromesso di evitare almeno per un po’. Ecco, l’inizio della fine, chissà che scriverò una volta iniziata questa parabola discendente.

Mentre Luca canta una canzone fuori scaletta il suo pezzo si mischia ad una musica elettronica lontana che parte forse dal palco principale. Ma i due pezzi si mescolano quasi alla perfezione. Mi parte un trip di pensare a Woodoo come ad una enorme creatura viva in cui una parte sente e percepisce cosa fa l’altra e risponde di conseguenza. Forse è così. Mi accorgo solo in quel momento che le luci sul palco sono viola, quelle sugli alberi sono azzurre, quelle dalle lampade sono rosse per alcune e verdi su altre, in fondo agli stand si vedono nell’ordine luci viola, gialle, blu e rosa. Non ho mai visto così tanti colori a Woodoo come quest’anno. Ma perché non me ne ero accorto prima? Ah già, prima non c’era il buio. Scende il sole e le fonti di luce diventiamo noi.

BRENNEKE

Quando suono mi chiamo Brenneke, 
quando scrivo mi chiamo anche Edoardo. 
Una volta ho visto un dirigibile.
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