Mille guerre

Mille guerre

La quarta puntata di Brenwood

Mentre sul finire del set di Giuse The Lizia entro in fissa su quella storia dei cappelli alla pescatora, noto che un ragazzo proprio di fronte a me ne ha uno fighissimo. È verde, sembra che abbia tipo delle piume o una specie di finto prato sintetico su tutta la superficie, non capisco bene.

Lo indossa e noto che da lì a breve i ragazzi della fila di fronte a lui e ai suoi amici diventano matti. Appena girati lo vedono con questo cappello e cominciano a chiedergli di potersi fare foto con lui e con i suoi compari. È una scena che trovo piuttosto assurda, ci sono persone vestite in modo ben più pittoresco ma per le quali nessuno manifesta nessun tipo di isteria. C’è una ragazza, ad esempio, vestita da Nefertiti ma se ne sta bella tranquilla senza nessuno che la importuni. Rifletto su questa anomalia per qualche secondo, giusto il tempo di rendermi conto che il ragazzo con il cappello verde e i suoi amici sono i BNKR44. Me ne accorgo grazie al pronto intervento di Sam (dei Neve, che suoneranno domani al camping). 

Decido in quel frangente che loro mi stanno simpatici e le mie aspettative nei confronti del loro set aumenta a dismisura.

Così mi reco nei dintorni del Bigfoot Stage. La schiera di ragazzi seduti sotto al tendone sono ancora più belli di ieri. Il colpo d’occhio del palco illuminato dalla luci ma con gli schermi ancora spenti è parecchio emozionante.

I BNKR44 salgono sul palco che sembrano i Backstreet Boys dopo aver assunto quella sostanza che trasformò le Tartarughe Ninja nei giustizieri pro in arti marziali che furono.

Mentre occhieggio il loro set stando appena sotto al palco una ragazza mi chiede di raccoglierle la sigaretta (spenta) caduta al di là della transenna di fronte. Per un secondo sono in dubbio tra diventare consapevole complice della giovane fruitrice del festivàl o avvertirla che (immagino) sotto il tendone di fronte al palco in mezzo alla folla forse non si dovrebbe fumare. Solo a pensarlo mi sento un noioso professore di un istituto tecnico o un amministratore pubblico durante un consiglio comunale in un paesino di meno di mille abitanti. Suvvia, penso, cosa è rimasto della mia gioventù? La domanda mi devasta. Raccolgo la sigaretta e gliela passo, confidando che non è detto che abbia intenzione di fumarla proprio in quel momento. Pochi istanti dopo scorgo un filo di fumo e dubito che qualcuno stia accendendo un fuocherello con due pietre di selce di fronte ad un concerto di Ariete. Scusa Woodoo Fest, ho fallito la mia missione di collaboratore, di educatore, di figura di riferimento. Questa sera è difficile, per chi è nato prima del 1995, non incappare in dinamiche del genere.

So cosa state pensando. Affronta l’elefante nella stanza Brenneke o Edoardo o come cazzo ti fai chiamare: stasera il distacco generazionale è implacabile. È qualcosa che a Woodoo personalmente non avevo mai visto così palesemente. Ci sono ragazz* giovanissim* che aspettano il concerto di Ariete con la compagnia dei genitori, gruppi di fan che paiono scolaresche, addirittura bambini con le cuffie antirumore. Ma tutto questo vale ben di più di una semplice constatazione passiva. Mi ci vorrà appena qualche ora per potermene rendere completamente conto.

Durante il set dei BNKR44, appena dopo aver barbaramente rifiutato di scoraggiare il vizio del fumo in una giovane vita, decido di lasciarmi inglobare dal concerto. Guadagno di nuovo la striscia che separa il palco dalle transenne e la percorro tutta lentamente un paio di volte. Ci sono solo io e la security non ha nessun problema a riguardo. I bassoni dei brani mi entrano praticamente nelle ossa; mentre sento scorrere le vibrazioni mi domando se lasciarsi investire in pieno dal suono di un subwoofer settato per tremila persone sia una pratica consigliata dall’OMS.

Quando il concerto finisce la band scende dal palco e per qualche ragione parte in diffusione The Suburbs degli Arcade Fire: che pugnalata. Mi sarei sentito molto meno vecchio con i Beatles.

Pochi istanti dopo il pubblico inizia a rumoreggiare urlando “Varese, Varese” e resto sbigottito da un campanilismo patriottico così intenso. Non sapevo che tra le caratteristiche della Generazione Z ci fosse anche questo. Ci metto poco tempo per rendermi conto che in realtà, ovviamente, stanno gridando “Ariete, Ariete”.

Dopo il live dei BNKR44 mi fermo a osservare un attimo i rodie che spostano alcuni degli oggetti di scena.

Sono gli ultimi esponenti di una categoria maestosa che sorregge gli show da secoli. Vorrei mi mettessero a conoscenza delle antiche consapevolezze che la loro gente tramanda di genitore in figlio.

Dopo poco Ariete si prepara a cominciare. Ancora una volta non voglio perdermi l’ingresso sul palco: l’atmosfera è completamente diversa da quella da lotta tra gladiatori di ieri sera. Nei momenti subito precedenti al suo live Ariete abbraccia gli altri della band, si raccolgono in sguardi di serenità e sorrisi. Il suo palco con i musicisti rialzati sulle pedane è magnifico e quando inizia a suonare porta tutto il pubblico con sé.

Poco più tardi crea la quadratura del cerchio che cercavo. Arianna fa salire sul palco due ragazze di nome Diana e Sofia, che hanno bisogno di raccontarsi di fronte al pubblico. Diana ringrazia la madre Rita per averla sostenuta durante un difficile periodo di pensieri suicidi (utilizza proprio questa potentissima parola), Sofia si dichiara ad una ragazza di nome Sara, che vive lontano ed è presente in diretta su Instagram. Il pubblico, mano nella mano tra amiche, amici, amanti, fratelli, sorelle, madri e figlie, ascolta queste ragazze coraggiose come se raccontassero le mille guerre di ciascuno di loro. Ariete ha squarciato la notte con le vite reali e stasera a Woodoo c’è una generazione dal futuro incerto che vuole rivendicare la sua capacità di amare incondizionatamente anche, e forse soprattutto, nel mondo incasinato in cui si è ritrovata.

Se ieri lo spirito di Woodoo somigliava più ad una forma di contrasto, oggi somiglia più ad una forma di coraggio.

Chissà a cosa somiglierà domani.

BRENNEKE

Quando suono mi chiamo Brenneke, 
quando scrivo mi chiamo anche Edoardo. 
Una volta ho visto un dirigibile.
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