Una nave dentro un bosco

Una nave dentro un bosco

La prima puntata di Brenwood

C’è una cosa a cui penso sempre quando focalizzo l’immagine di una moltitudine di gente: la solitudine. Giuro, è in assoluto la prima tra le sensazioni che mi coglie. Non ricordo momenti in cui la solitudine fosse più percepibile di quelli immersi tra la gente. È più forte di me, quando tante persone sono nello stesso posto tutte insieme a condividere la realtà io, il più delle volte, non ci riesco davvero. Sono lì ma al tempo stesso sono da un’altra parte. La definirei una presenza frammentata. Poi certo, c’è tutto il resto. Girarsi e trovare un amico che non vedi da molto tempo, scoprirsi coinvolti all’ascolto di un artista che non conoscevi, parlare con sconosciuti e scoprire cose interessanti. Eccetera. 

Passo indietro. Nell’estate del 2018 era un periodo che mi sentivo un po’ perso, soprattutto sentivo che la musica mi stava sfuggendo dalle mani per andarsi a infilare in qualche anfratto misterioso come le lucertole di montagna. Ma non era solo la musica. Non sapevo che tipo di persona volevo essere, se certi miei stessi preconcetti su di me erano giusti. A volte l’accoglimento di sé stessi somiglia pericolosamente ad irresponsabilità. Visto che la solitudine reale in quel periodo era spesso troppo ardua da sopportare, andavo a mescolarmi con la gente. Un ristorante affollato, un concerto, una spiaggia. Inutile dire che, in virtù della mia tendenza di cui sopra, tutto questo mi faceva sentire ancora più lontano. Scrissi anche una canzone su questo tema di nome “Siete tutti lontani”, che non ha mai visto la luce.

Beh una sera di luglio mi guardai attorno, mi trovavo tra tanta gente ma percepii (è sempre una questione di percezione) che ero nel posto giusto. Mi sentivo stranamente in armonia, pensavo di trovarmi in qualcosa a cui appartenevo davvero. C’era una folla ma la solitudine no. Se c’era, era bella e non mi impediva di sentirmi bene. Ero a Woodoo. Quella scarica di elettricità mi fornì la visione giusta per mettere pezzi del mio puzzle personale.

Forse fu soprattutto a partire da quella sera che capii l’importanza che Woodoo aveva per me. Ci avevo già suonato due volte, lo avevo visto nascere da vicino e ormai percepivo distintamente che non era un festival o un evento culturale come gli altri.

É come quei film in cui si scopre che proprio quella cittadina dell’America rurale degli anni settanta è un varco per un’altra dimensione: a Woodoo c’è la porta di qualcosa.

Una porta che conduce ad un’armonia tra chi si è e chi si vorrebbe essere. La sensazione è sempre quella di sentirsi meglio nell’accettare sé stessi, anche con le proprie debolezze. In qualche modo nei giorni di questo festival puoi fare un bilancio e dire «Massì, è andato tutto bene», oppure «Passerà».

Mi chiamo Edoardo, dentro ad una vita più o meno ordinaria faccio musica e scrivo del più e del meno. Quando canto le canzoni ho scelto tanti anni fa di rinominarmi con lo strano nome Brenneke. In un impeto di genio letterario degno di Balzac ho fuso il mio nome d’arte a Woodoo ed eccoti qui a Brenwood, il tuo appuntamento fisso con la Storia.

Quest’anno sarà la prima volta che parteciperò al festival dall’inizio alla fine. Tutto quello che raccoglierò lo scriverò qui, in un paio di uscite giornaliere. 

Cosa potete aspettarvi da questo viaggio? Refusi, richieste di denaro, lavoro e all’occorrenza di riscatto, adulazioni prive di senso di personaggi più o meno sconosciuti, fantasticherie con poca attinenza alla realtà, recensioni di prodotti gastronomici, tutorial su hobby di bellezza opinabile. Sarà una performance di cinque giorni che, perché no, potrebbe portarmi ad un delirio da monitorare successivamente. Ma a questo penserò poi.

Sarà come il diario di bordo di una nave di pirati. Una nave che naviga dentro un bosco.

Ci vediamo domani.

BRENNEKE

Quando suono mi chiamo Brenneke, 
quando scrivo mi chiamo anche Edoardo. 
Una volta ho visto un dirigibile.
Vieni a trovarmi nell’Instagram o nella mia newsletter Ragnatele.

leggi anche